domenica 28 luglio 2024

Sole e Luna: oltre il visibile Non semplici astri ma simboli esoterici con il loro significato spirituale

 Credete che il Sole sia soltanto una stella e che la Luna sia unicamente il satellite della Terra? Ebbene, sono molto di più di questo.

Partendo dal presupposto fondamentale che ogni cosa visibile è manifestazione dello Spirito Creatore, del Logos, si può allora comprendere il significato esoterico della realtà.

Prima di descrivere i simboli del Sole e della Luna, è bene ricordare che tutto è simbolo ed i simboli non sono semplici segni grafici ma oggetti o immagini che sintetizzano significati profondi. Il termine simbolo deriva dal greco συμβάλλω – symballo, formato da σύν «insieme» e βάλλω «gettare», a indicare: raccogliere, mettere insieme e gettare o scagliare con forza. Quest’ultimo aspetto, il gettare con forza, è importante ma spesso ignorato; il simbolo è qualcosa che irrompe con potenza nella psiche e ha il potere di portare la coscienza da uno stato ordinario ad un altro sia positivo che negativo.

La contemplazione dei simboli era ed è, per l’iniziato ai misteri, la pratica che avvia il processo alchemico, per lui ogni simbolo è geroglifico e ne vuole carpirne il senso. Collegare le idee alle forme permette alla mente di risalire alle concezioni fondamentali dell’intelligenza umana. Per far ciò è necessario il silenzio.

Già...il silenzio, chi è in grado di tollerarlo in questo tempo ridondante e fragoroso? Siamo immersi nel frastuono del mondo anche e soprattutto virtuale dei social media, incessantemente bulimico di parole e immagini, ma il pensiero che fine ha fatto? L’uomo ha il dono della parola ma che uso ne fa? La usa per esimersi dal pensare, parla troppo per non dire nulla, nella maggior parte dei casi.

E il grande Pitagora sapeva bene che l’astensione dal rumore e dalla parola obbliga l’uomo a incontrare se stesso, muto, costretto a pensare con le sole sue risorse. Egli, infatti, imponeva ai suoi novizi il silenzio proprio per sviluppare l’intuizione, la facoltà primordiale e superiore dell’uomo.

Uomo che ami parlare molto: ascolta e diventerai simile al saggio. L’inizio della saggezza è il silenzio.

Ma alle menti pigre il silenzio non produce la riflessione; cose, segni e simboli non suggeriscono nulla, tali menti preferiscono l’indottrinamento, come le oche che ingoiano fino allo stremo il cibo che ingrossa il loro fegato. Dategli cose da pensare che il pensare è una fatica immane! Chi, invece, al solo contatto con gli stessi simboli, cose e segni, sente nascere delle idee nella mente è un potenziale iniziato, un pensatore.

Ma andiamo ai simboli, argomento di questo articolo.

Consideriamo che le forme geometriche nascono tutte da un punto matematico, simbolo del concetto di unità che può essere concepito ma non mostrato. Da questo punto nasce quindi la linea che, spostandosi nello spazio, assume varie direzioni e crea delle forme. Si può affermare che la geometria nasce proprio da ciò che l’intelletto produce dal punto iniziale.

Immaginiamo ora una pietra gettata nell’acqua e vedremo che si irradiano dei cerchi concentrici sempre più ampi. Ebbene, i saggi antichi hanno così concepito il moto del Cosmo come un irraggiamento costante e in tutte le direzioni nello spazio. Il cerchio con il punto al centro è quindi la rappresentazione del Sole (ed anche dell’oro) che emana incessantemente la luce creatrice simboleggiata dal punto centrale. Esso è la rappresentazione perfetta di ciò che non ha inizio né fine, è l’uroboros che divora infinitamente se stesso e che, al suo interno, gli alchimisti greci hanno inserito il motto ‘uno il tutto’ ad indicare l’unità globale di ciò che esiste e di ciò che può essere concepito.

Il simbolo del Sole è il Grande Agente primordiale, il creatore di tutte le cose, il principio maschile fecondante. La Luna, dal latino lūna – luce riflessa, invece, è rappresentata da un cerchio vuoto che simboleggia il principio passivo fecondato. E già nella sua etimologia è facilmente intuibile che la Luna è la rivelatrice del vero Sole spirituale, è lo specchio attraverso cui viene rimandata a noi la luce solare. La Luna così diviene Iside, la madre dell’oggettività mentre il Sole, occulto e nascosto come Osiride, è il padre della spiritualità. Lo zero che il cerchio rappresenta non è il nulla poiché tutto è pieno di qualcosa, vuoto e nulla sono delle parole ingannevoli.

I Babilonesi associavano questo qualcosa, una sostanza impalpabile e indifferenziata, a Tiamath, la sposa di Apsu, lo spirito delle tenebre anteriori a tutto ciò che diviene, l’abisso senza fondo, il disco nero del Dio primordiale dormiente e talmente compiaciuto di se stesso da non voler creare alcunché. Tiamath per unirsi con lui si volatilizza, si assottiglia fino quasi a scomparire ed è proprio questo lo stato della sostanza primordiale antecedente alla particolarizzazione. Nella cosmogonia è il caos primordiale da dove avviene la creazione, la sostanza eterica in potenza e dinamicamente vibrante come onde in un oceano immenso. Il Sole rappresenta le seguenti nozioni: Oro (sostanza incorruttibile), luce diretta, ragione, discernimento, agire, inventare e scoprire, fondare e creare, generare, comandare, fecondazione.

La Luna invece nel suo antagonismo richiama le seguenti nozioni: Argento, luce riflessa, immaginazione, credere, assimilare e comprendere, sentire, ricevere, obbedire, conservare e mantenere, concepire, gestazione. E sappiamo bene come la Luna influenzi le maree, il ciclo mestruale (dura in media 28 giorni così come la rotazione della Luna intorno alla Terra), la gravidanza che dura 9 mesi e 9 è il numero della Luna. I due astri sono sempre attivi, il Sole irradia costantemente in modo fisso e immutabile come lo splendore dell’oro, mentre la Luna riflette ciò che capta della luce solare, il suo disco infatti nelle fasi lunari passa da crescente a calante in modo incessante, la sua instabilità è infatti associata all’argento, metallo nobile ma soggetto ad ossidazione.

La Luna e il Sole sono forze stimolatrici dell’eterna corrente vitale.

Concludo con un estratto dalla conferenza di Rudolf Steiner del 26 marzo 1908 ‘Sole, Luna, Stelle’: “Sole e Luna rappresentano il contrapposto di vita e di forma che è necessario allo sviluppo umano. Se operassero unicamente le forze lunari stabili, ogni ulteriore sviluppo sarebbe escluso, si determinerebbe una specie di irrigidimento, mentre le sole forze solari condurrebbero alla combustione. La luce che irradia dalla luna non è soltanto luce solare riflessa, ma rappresenta delle forze che formano e plasmano. La luce solare non è mera luce, bensì forza di vita, di vita che precipita con ritmo vertiginoso, sicché l’uomo sarebbe già vecchio non appena nato. La forma umana è un portato della luna, la vita umana del sole... dalle stelle, dal sole e dalla luna non si riversano su di noi soltanto dei raggi luminosi, ma delle correnti spirituali impregnate di vita. Finché non si scorgerà null’altro all’infuori della sola luce fisica, ciò non potrà comprendersi, poiché l’elemento spirituale non può venir sperimentato che dalla fantasia artistica elevata a veggenza super sensibile, animata ad immagine – oppure mediante la ricerca, l’investigazione di carattere spirituale.”

lunedì 1 luglio 2024

I colori, alleati del benessere

 

I colori, alleati del benessere

L'influenza profonda dei colori sull'anima: un viaggio attraverso l'arte, la scienza e la spiritualità

27 GIUGNO 2024, 
Colori. La connessione tra luce e colore secondo le teorie di Newton e Goethe, e il loro impatto sulla nostra percezione e benessere
Colori. La connessione tra luce e colore secondo le teorie di Newton e Goethe, e il loro impatto sulla nostra percezione e benessere

Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima.

(Vasilij Vasil'evič Kandinskij)

In questa frase il celebre pittore Kandinskij, precursore e fondatore della pittura astratta, ha sintetizzato egregiamente quanto l’energia dei colori influenzi il nostro stato fisico, mentale, emozionale e spirituale.

Secondo Kandinskij, il movimento del colore è una vibrazione che agisce sulle corde dell’interiorità dell’essere umano e paragona i colori agli strumenti musicali proprio per le sensazioni e le emozioni che suscitano in colui che ne fruisce. A suo parere il colore produce due effetti: un ‘effetto fisico’ basato sulla registrazione di un colore da parte della retina e un ‘effetto psichico’ causato dalla vibrazione spirituale attraverso cui il colore penetra nell’anima. L’effetto psichico è determinato dalle qualità sensibili di ogni colore che interagiscono con i nostri sensi, ogni colore ha quindi un odore, un suono, un sapore interiori. A proposito del ‘suono’ del colore, Kandinskij ricorre a una metafora musicale per spiegare quest'effetto: il colore è il tasto, l'occhio è il martelletto, l'anima è un pianoforte con molte corde.

Così il giallo è dotato di una vitalità prorompente come il suono di una tromba, il blu è associabile a quello di un flauto, il rosso caldo e vivace è paragonato al suono di una tuba, il verde è una quiete appagata assimilabile al suono del violino, il bianco che racchiude tutti i colori dell’iride è connesso al silenzio tra una battuta e un’altra di un’esecuzione musicale, infine il nero che rappresenta l’assenza di luce è il silenzio assoluto come la fine di una sinfonia.

I colori, infatti, emettendo delle vibrazioni, interagiscono con le nostre vibrazioni e, se queste sono alterate da stati disarmonici, sono in grado di riportarle in armonia. Viviamo in un mondo a colori, ne siamo immersi, qualifichiamo le nostre emozioni associandole ai colori: ‘rosso dalla rabbia’, ‘oggi sono di umore nero’, ‘sei luminosa’ e così via.

Il colore ha quindi un effetto su di noi che può essere disturbante o rasserenante, può suscitare emozioni come quando contempliamo un tramonto o un’alba, pensiamo a quando scegliamo il colore degli abiti e degli accessori che decidiamo di indossare in base al nostro umore.

Ma quando inizia la percezione dei colori?

Da un esperimento in cui veniva proiettata una luce intensa sulla pancia della gestante, si è potuto notare, grazie all’ecografia, che già dal terzo trimestre di gestazione il feto reagiva alla luce socchiudendo le palpebre e modificando il battito cardiaco. Ciò dimostra che la vista del feto si sviluppa già durante la vita intrauterina.

Circa a 34 settimane di gestazione, il feto è in grado di percepire il colore rosso dei vasi sanguigni ricchi di ossigeno della placenta, sarà per questo che il rosso attrae irresistibilmente il neonato durante le prime settimane di vita.

Secondo una ricerca condotta su 170 bambini tra i due e i quattro mesi, nel Baby Lab dell’università del Sussex (UK), alla nascita un neonato già conosce le categorie dei colori e li divide in cinque grandi gruppi – rosso, blu, verde, giallo e viola – categorie comuni in tutte le lingue del mondo.

I colori sarebbero quindi universali, non dovuti all’apprendimento del linguaggio.

Nella relazione con i colori possiamo scegliere se essere fruitori passivi o utilizzarli come terapia, la cromoterapia infatti si basa sull’utilizzo della potenza dei colori come strumento di guarigione e riequilibrio, ma non è una disciplina moderna.

Già nell’antichità i Babilonesi, gli Egiziani, i Cinesi, i Greci, utilizzavano dei cibi e delle acque colorate per le guarigioni, poiché attribuivano ai colori dei poteri curativi e si basavano sull’assunto che la mente sia influenzata dai colori percepiti, caricandoli di significati emotivi.

Prima di argomentare sui colori però è necessario parlare della luce che, dal punto di vista metafisico, è la manifestazione visibile dell’attività dello Spirito. La luce è una ma le sue manifestazioni sono diverse. Bisogna avere la consapevolezza dell’origine unitaria dei colori che sono prodotti dalla rifrazione della luce che è unica.

I colori provengono dall’unica luce, infatti la connessione che rende attiva la cromoterapia è con la luce increata.

La luce, nel corso del tempo, è stata oggetto di studio di numerosi scienziati. Il celebre fisico e matematico Isaac Newton riteneva che la luce contenga tutti i colori, mentre il singolo colore rappresenta un’unità percettiva sperimentabile. Al contrario, Johann Wolfgang von Goethe intendeva la luce come unità indivisibile mentre i singoli colori come un misto di luce e tenebre, questa relazione tra luce e tenebre è il fenomeno originario del colore che è sperimentabile con i sensi.

La teoria dei colori di Goethe, elaborata nel 1810, si basa sulla polarità, luce-tenebra, bianco-nero, positivo-negativo, maschile-femminile, sulla opposizione e complementarietà di questa polarità. Goethe affermava che la luce determina un movimento di contrazione in noi stessi mentre la tenebra produce un effetto di espansione. La luce muove verso, la tenebra si ritira da, noi siamo nella relazione tra queste polarità.

L’esoterista e teosofo Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, riteneva necessario lo studio dei colori sulla base del pensiero di Goethe, inoltre collegava i colori ai pianeti: Verde - Sole, Rosso – Marte, Giallo e Bianco – Giove, Azzurro – Saturno.

Secondo Steiner il colore non esiste se non come segno di uno stato interiore dell’anima; un fenomeno genera una sensazione che provoca l’insorgenza di un sentimento associabile al colore esterno non dell’oggetto ma del fatto interiore, il sentire nel contatto con l’esperienza.

Nel mondo sensibile non sono sperimentabili luce assoluta e tenebra assoluta, sono invisibili, dall’invisibile si determina il visibile, non vediamo la luce ma gli effetti, non vediamo il fenomeno originario ma siamo dentro agli effetti, siamo inseriti in un mondo di effetti di questa originarietà.

La luce è quindi la manifestazione del potere generatore di tutti i fenomeni.

È necessario superare il dualismo tra noi e il mondo fenomenico, tra ‘io esisto’ ed ‘esiste il mondo fuori’, tutto è il riflesso di uno stato primordiale e la pratica della cromoterapia può servire a trascendere la dualità per entrare nello stato primordiale.

Poiché i colori hanno un effetto sulla nostra energia interna, si possono utilizzare per intensificare una determinata qualità, oppure per ridurre o eliminare una certa energia con la quale siamo venuti in contatto.

Nelle tradizioni orientali i colori sono attributi della divinità e i 5 colori vengono associati ai 5 elementi:

  • il bianco è connesso all’acqua, viene usato per la pacificazione e la guarigione
  • il giallo è legato alla terra, serve per produrre un incremento di una certa energia
  • il rosso è associato al fuoco, ha un potere magnetico-attrattivo
  • il verde è collegato all’aria, al potere realizzativo
  • il blu è associato allo spazio, all’assenza di dualità, al ‘samadhi’, lo stato di meditazione profonda.

Poiché lo squilibrio degli elementi causa la malattia, si possono utilizzare a scopo riequilibrativo, insieme ai colori, delle lampade o dei cristalli che illuminati emettono dei fasci di colori. Ad esempio, nella meditazione con i cristalli e/o colori il prana, l’energia universale che proviene dal Sole, viene catturato e inviato all’organo che necessita di riequilibrio. Il prana è il prodotto della combinazione di luce e calore e viene assorbito attraverso il respiro. Il plasma solare è molto potente, se pensiamo alle tempeste solari che mandano in tilt gli apparecchi elettronici e anche noi che, subendo tale influsso, possiamo sentirci nervosi e agitati!

La cromoterapia sortisce un potenziamento dell’effetto curativo se associata al suono in un processo di attivazione che procede in questo modo: la luce unificata si trasforma in colori che vengono attivati con i suoni.

Nell’induismo ed anche nel buddismo si praticano i Bīja, termine che indica il suono-seme ovvero il suono che trasformò l’energia potenziale di Brahmā in materia. In altri termini ad ogni forma materiale è associato un suono.

Bīja Mantra sono suoni che, grazie alle loro vibrazioni, ampliano la sfera psicofisica dell’essere umano e sono i seguenti: Ram – fuoco, vam – acqua, yam – aria, lam – terra, ham – etere. Se pronunciati in accordo con i colori, potenziano l’effetto terapeutico della cromoterapia.

Non è un caso se nelle pratiche tantriche si recitano i mantra con una mala o rosario composto da 108 grani: il 9, il numero della Luna, viene moltiplicato per 12, il numero del Sole. E 108 è il numero dei punti segreti del corpo che vengono attivati ruotando la mala, assorbendo e sigillando così il prana che si assorbe durante la pratica meditativa.

Concludo con una suggestiva poesia di Gianni Rodari:

Pelle Bianca come la cera
Pelle Nera come la sera
Pelle Arancione come il sole
Pelle Gialla come il limone
tanti colori come i fiori.
Di nessuno puoi farne a meno
per disegnare l’arcobaleno.
Chi un sol colore amerà
un cuore grigio sempre avrà.

Intervista a Francesco Sepioni. NDE: Near Death Experiences. Esperienze di premorte narrate da un medico d’emergenza

 

Intervista a Francesco Sepioni

NDE: Near Death Experiences. Esperienze di premorte narrate da un medico d’emergenza

27 GENNAIO 2024, 
Scala verso l'ignoto in una dimensione indefinita. L’esperienza premorte è una porta per l’universo e l’infinito. Sulla terra non lo capiamo perché ci manca la capacità di comprendere l’infinito
Scala verso l'ignoto in una dimensione indefinita. L’esperienza premorte è una porta per l’universo e l’infinito. Sulla terra non lo capiamo perché ci manca la capacità di comprendere l’infinito

La Scienza e la Religione, queste custodi della civiltà, hanno entrambe perduto il loro dono supremo, la loro magia, quella di impartire un grandioso e valido ammaestramento. Dai templi dell’India e dell’Egitto sono usciti i più grandi sapienti della terra. I templi greci hanno forgiato eroi e poeti. Gli apostoli del Cristo sono stati martiri sublimi e ne hanno generati a migliaia. La Chiesa dell’Età di Mezzo, malgrado la sua teologia primitiva, ha creato santi e cavalieri poiché essa credeva e, occasionalmente, in essa vibrava lo spirito del Cristo. Oggi né la Chiesa, imprigionata nel suo dogma, né la Scienza, rinserrata nel suo materialismo, sanno più dar vita a uomini completi. Perduta è ormai l’arte di creare e plasmare le anime, né la ritroveremo se non quando Scienza e Religione, nuovamente fuse in un’unica forza vitale, si dedicheranno insieme e di comune accordo al bene e alla salvezza dell’umanità. E per far questo la Scienza non dovrà mutare il suo metodo ma solo dilatare i suoi confini; né il cristianesimo dovrà mutare la sua tradizione, ma solo comprenderne le origini, lo spirito e la portata.

(Edouard Schurè)

Questo scritto dello scrittore, filosofo, poeta ed esoterista francese calza a pennello con l’argomento di cui tratteremo e soprattutto ne delinea l’approccio che necessariamente implica un ampliamento della coscienza.

Francesco Sepioni, medico presso il Dipartimento Emergenza e Urgenza dell’Asl 1 della Regione Umbria, nel suo saggio Al confine con l’aldilà. Esperienze di premorte narrate da un medico d’emergenza, oltre ad aver raccolto numerose testimonianze di persone che hanno vissuto questa esperienza, snoda un’analisi minuziosa degli elementi scientifici, psicologici e filosofici che queste esperienze racchiudono e che sono collegate alla fatidica domanda: “L’anima o la coscienza sopravvive alla morte del corpo? Esiste una vita oltre la morte?” Il tema delle esperienze dei morenti o di chi, creduto morto, sia ritornato in vita accompagna da sempre la storia dell’umanità, dai racconti di Omero e Platone sino agli odierni casi di pazienti in condizioni di pericolo di vita.

Il tuo lavoro è molto impegnativo sia dal punto di vista fisico che emotivo, il team d’emergenza è attivo tutti i giorni dell’anno e a tutte le ore, ma permette a voi operatori di provare emozioni che pochi mestieri possono far vivere…

È proprio così, certo subiamo stress e stati d’ansia ma salvare la vita a un paziente in una situazione d’emergenza è la più grande vittoria dell’uomo sulla morte. Quando questo avviene, si prova una sensazione di pace interiore e di appagamento unico. Al contrario, quando la morte prevale sulla vita, si ha un senso di smarrimento e d’impotenza: il fatalismo e l’accettazione del destino hanno la meglio su uno sparuto gruppo di uomini intento, con tutti i mezzi a disposizione, a cercare il “miracolo” che non si è avverato.

Francesco, cosa ti ha spinto a scrivere questo saggio?

Questo libro di certo non cerca o presume di dare risposte, ma attraverso l’esposizione di casi clinici reali, in maniera scientifica e razionale, offre l’interessante opportunità di ampliare il nostro orizzonte di riflessione sui concetti di fine vita, anima, premorte e spiritualità. Il mio intento è quello di stimolare una riflessione nel lettore che, probabilmente, valuterà con maggiore attenzione e rilievo il valore dello scorrere del proprio tempo, ma soprattutto non potrà che apprezzare ulteriormente l’importanza del grande dono che è la Vita.

In cosa consistono le NDE (Near Death Experiences)?

Le esperienze di premorte o NDE sono un fenomeno clinico frequente e complesso e ci sono restituite dai racconti di pazienti che hanno sfiorato i confini della morte e sono “tornati indietro” per testimoniare il fatto.

Tutte le vicende descritte nel mio saggio appartengono a persone clinicamente morte, in coma o in arresto cardiaco, che durante le rianimazioni cardiopolmonari raccontano di staccarsi dal proprio corpo, per entrare in un tunnel di colori che gli permette di raggiungere un luogo bellissimo dove ritrovano le persone amate defunte, provando un senso profondo di pace e di beatitudine. Inspiegabilmente i pazienti in questo stato d’incoscienza hanno ricordi lucidi e documentabili, anche se il loro cervello è clinicamente inattivo per mancanza di ossigeno e assenza di attività cardiopolmonare. Le persone al loro “ritorno” vivono l’evento come una crisi esistenziale e un’esperienza di apprendimento, a seguito della quale non hanno più paura della morte. La morte per loro non è più la fine di tutto ma il proseguimento della vita in un’altra forma, con una coscienza “aumentata”: cambiano vedute sul modo di vivere la loro esistenza sulla terra, luogo in cui l’amore e la compassione per gli altri sono condizioni importanti di vita.

Il soggetto che subisce questo fenomeno ha la netta percezione di essere in un’altra dimensione (diversa da quella ordinaria della vita terrena) e di aver abbandonato il corpo fisico, oltrepassando i limiti del proprio io e della dimensione spaziotemporale del mondo fisico. Inoltre si parla di OBE (Out of Body Experience) ogni qualvolta una persona percepisce di “uscire”, di proiettare la propria coscienza oltre il proprio corpo. Questo fenomeno non è raro infatti circa il 20 % della popolazione italiana afferma di aver avuto un OBE nel corso della propria vita. Le esperienze di NDE appartengono al territorio di confine tra fisica e metafisica.

Tale fenomeno è stato per molto tempo sminuito dall’ambiente culturale e scientifico che ne ha negato la significatività, solo dagli anni ’70 si è approfondito l’argomento, lo scetticismo è tuttora presente?

Ancora oggi, alcuni pregiudizi sono presenti nell’ambiente scientifico. Alcune ricerche hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti non racconta la propria NDE perché temono di non essere presi sul serio e derisi.

Anche parecchi medici sono ancora molto scettici e hanno una scarsa conoscenza in merito al fenomeno che tendono a negare perché incompatibile con la loro cultura e con la visione del mondo attualmente dominante. È soltanto negli ultimi 30 anni che sono comparsi testi e articoli sulle NDE in ambito medico e psicologico dando credibilità al fenomeno. Il numero dei casi è aumentato grazie a un miglioramento delle tecniche di rianimazione, delle terapie e la maggior consapevolezza del fenomeno. Dal 1978 è presente una società scientifica, la International Association far near-death studies, che si dedica allo studio della premorte, di esperienze simili e del loro rapporto con la coscienza umana. Sul «Journal of near-death studies», inoltre, vengono pubblicati i risultati delle ricerche e gli articoli riguardanti le NDE.

Quali sono le caratteristiche delle NDE?

Un’esperienza di NDE comprende i ricordi di tutte le impressioni vissute che una persona (una volta riprese le funzioni vitali) riporta di aver vissuto in un “particolare” stato di coscienza. I racconti non sono mai identici tra loro, ma presentano numerosi elementi in comune che ricorrono sistematicamente in ogni NDE (anche se non sempre tutti contemporaneamente). Ne citerò per brevità alcuni della classificazione di Moody:

  • ineffabilità e unicità dell’esperienza, che risulta inesprimibile a parole e unica nel suo genere;
  • sensazione di pace e serenità mai provata prima e scomparsa del dolore;
  • consapevolezza di essere morto, seguita a volte da un rumore o una musica;
  • abbandono del proprio corpo con la possibilità di osservarlo dall’esterno, in un’esperienza extracorporea (obe): le persone assistono alla loro rianimazione o operazione, svolte da medici o infermieri, da un punto al di fuori e al di sopra del proprio corpo;
  • percezione di uno spazio scuro, un tunnel di buio definito anche come una galleria o un cilindro, a volte percepito come pauroso, in cui le persone vengono rapidamente attirate;
  • percezione di essere in un ambiente ultraterreno;
  • incontro con altri esseri (parenti, amici) e visione di una grande ed intensissima luce;
  • preveggenza o visioni del futuro e ritorno consapevole nel proprio corpo.
La NDE è in sostanza uno stato modificato di coscienza. Le tradizioni sapienziali antiche affermavano che la coscienza è non locale, eterna e infinita, quindi sopravvive alla morte fisica. La cultura occidentale, basata invece sulla visione separativa, intende la morte come la cessazione della coscienza; pensi che le NDE possano contribuire al cambio di paradigma?

Assolutamente sì. Le persone che hanno sperimentato un NDE comprendono che la coscienza sopravvive alla morte fisica. Questo sembrerebbe dimostrare che la morte non è la fine della coscienza, come sempre l’abbiamo invece concepita nel mondo occidentale.

Potresti raccontarci un caso emblematico di NDE?

Un caso molto significativo di NDE con OBE, pubblicato su riviste scientifiche autorevoli, è quello del dottor Parnia all’interno del progetto AWARE effettuato nel 2014. È il racconto di un paziente che, mentre si trovava in ospedale per accertamenti, ha avuto un arresto cardiaco dove è stato utilizzato un DAE (defibrillatore automatico):

Stavo rispondendo all’infermiera ma ho sentito una forte pressione all’inguine. Non un dolore, stavo parlando e poi all’improvviso devo aver perso conoscenza ma poi ho sentito vividamente una voce automatica dire «Shock the Patient», «Shock the Patient» e in alto all’angolo della stanza c’era una donna che mi chiamava con un cenno… posso ricordare che pensavo tra me e me “Non posso andare lassù” lei mi chiamava… sentivo che mi conosceva, sentivo che potevo fidarmi di lei e che lei era lì per una ragione e non sapevo quale fosse… e un secondo dopo, io ero lassù…guardando giù Me, l’Infermiera e un Uomo con la testa pelata e tarchiato, aveva un camice e un berretto blu ma potevo distinguere che era calvo da come stava il berretto. Successivamente ricordo di essermi risvegliato e l’infermiere mi diceva «lei si è addormentato, ora è di nuovo qui con noi». Se lei ha detto queste parole, se la voce automatica realmente sia esistita non lo so. So chi era l’uomo con il berretto blu, non conosco il suo nome completo ma era l’uomo che ho visto il giorno dopo, ho visto quell’uomo che è venuto a visitarmi e l’ho riconosciuto chi avevo visto il giorno prima.

La cartella clinica ha confermato l’uso del Defibrillatore automatico (DAE), il team medico presente durante l’arresto cardiaco e il ruolo dell’Uomo Identificato nel trattamento dell’arresto cardiaco. Il protocollo di rianimazione per un arresto cardiaco prevede due minuti di massaggio cardiaco/ventilazione (RCP) e un minuto di tempo per l’analisi del ritmo da parte del DAE nel decidere se effettuare la defibrillazione o meno. Quando è partito l’ordine tramite la voce automatica (“Shock the Patient”) di effettuare la defibrillazione da parte del DAE, il paziente l’ha percepita chiaramente ed era un minuto che non veniva effettuato il massaggio cardiaco. Si può stimare che il paziente abbia avuto almeno 3 minuti di consapevolezza conservata e percezione corretta della realtà (percezioni veridiche). La cosa più anomala sotto il punto di vista medico scientifico è il fatto che il paziente oltre ad aver percepito chiaramente la voce automatica del DAE (percezione uditiva) ha riconosciuto il personale medico (percezione visiva) in una situazione di fibrillazione ventricolare, in uno stato d’ incoscienza e dove il suo elettroencefalogramma era piatto perché non c’era circolo.

Nel saggio hai dedicato dei capitoli sulla morte, sull’anima, sollecitando nel lettore la consapevolezza che è illusorio pensare di raggiungere, con la ragione, tutto il conoscibile…

La fede religiosa e la ragione scientifica sono per definizione distinte e non intersecabili, ma è evidente che molti fenomeni non si possono spiegare con la sola logica. Nessuna mente umana può contenere tutto il sapere, nemmeno settoriale. Lo scibile è solo una piccolissima parte rispetto all’enormità dell’abisso insondato della realtà. Vorrei qui citare le parole della mistica Natuzza Evolo che ha affermato: «L’uomo, per volontà divina, non potrà mai avere una conoscenza completa, con prove inoppugnabili e definitive del mondo spirituale che si intrecciano con il mondo scientifico nello spiegare i fenomeni che avvengono sulla terra perché in tal caso verrebbe meno l’importanza della fede e del rispetto, da parte di Dio stesso, della “libertà” dell’uomo». Un essere umano, in fasi diverse della sua vita sulla terra, dovrà confrontarsi e dare delle risposte agli interrogativi che ho posto nel saggio. Questi vanno ricercati dentro di noi tramite la nostra sensibilità, fede, cultura ed esperienza.

Concludo con una testimonianza tratta dal saggio:

Noi captiamo il mondo sulla terra attraverso il nostro corpo con i nostri sensi: vista, tatto, gusto, olfatto, udito. Questo ci limita, rappresenta solo una dimensione ed è limitata. È come se fossimo in una corazza. Quando siamo liberi dal corpo fisico abbiamo percezioni iper-reali e una ultra-chiarezza, viviamo il reale. La nostra coscienza è in grado di registrare qualsiasi cosa accada con chiarezza totale, perché non subisce il peso della fisicità e dei nostri sensi fisici. L’esperienza di NDE mi ha amplificato la capacità di assorbire tutte le energie. L’esperienza premorte è una porta per l’universo e l’infinito. Sulla terra non lo capiamo perché ci manca la capacità di comprendere l’infinito. Tendiamo a vedere la NDE attraverso il prisma del nostro mondo fisico».

Huna, la saggezza hawaiana

 

Huna, la saggezza hawaiana

Una via al Sé

27 FEBBRAIO 2024, 
Hula hawaiana e i principi dell'Huna. Non esistono limiti. La separazione è un’illusione, non ci sono confini tra noi e gli altri, tra noi e il nostro corpo, tra noi e Dio
Hula hawaiana e i principi dell'Huna. Non esistono limiti. La separazione è un’illusione, non ci sono confini tra noi e gli altri, tra noi e il nostro corpo, tra noi e Dio

Una religione scientifica antichissima è l’Huna, religione perché ispira l’uomo al raggiungimento della perfezione spirituale e scientifica poiché si occupa della realtà fisica del ‘qui e ora’ e utilizza delle tecniche che producono effetti ripetibili sia sulle persone che sull’ambiente. Sembrerebbe un ossimoro accostare i termini religione e scientifica ma non lo è affatto in questo caso.

Le origini dell’Huna si perdono nella notte dei tempi, al tempo di Mu e di Atlantide ma le prime tracce storiche risalgono all’antico Egitto.

Secondo i Kahuna, nei millenni prima di Cristo, un gruppo di iniziati crearono un linguaggio artificiale e segreto che avrebbe permesso di tramandare la sapienza Huna di generazione in generazione.

Lo studioso di psicologia e teosofo Max Freedom Long (1890-1971) rivelò per primo il codice Huna all’Occidente. Long soggiornò in Polinesia e fu affascinato dai poteri dei Kahuna, sciamani e uomini di medicina, assistette a numerose guarigioni ed egli stesso si affidò a loro per alcuni disturbi di cui soffriva, ma non riuscì a carpirne i segreti durante il suo lungo soggiorno.

Così dopo molti anni di studi, incrociando la sapienza delle tradizioni hawaiane con la psicologia e con l’occultismo, strutturò un sistema scientifico e psico-religioso che chiamò Huna, ka-huna significa “il segreto”. Long fondò l’organizzazione Huna Research Associates e pubblicò parecchi libri che esponevano dettagliatamente i risultati delle sue ricerche.

I principi dell’Huna non soltanto forniscono una spiegazione logica e coerente della psicologia umana, ma producono risultati tangibili quando vengono applicati. Inoltre, tali principi rientrano nella parapsicologia: le facoltà extrasensoriali come la telepatia, la chiaroveggenza e l’influenza della mente sulla materia, appannaggio speciale di poche persone dotate di un talento naturale, possono essere sviluppate da chiunque sia disposto ad accettare e sperimentare l’Huna. Non è necessario credere nell’Huna, ma soltanto essere disposti a sperimentarlo.

L’Huna è un sistema aperto, non è esclusivo e non richiede di abbandonare altre credenze, fedi e modi di pensare.

I principi fondamentali

L’idea fondamentale nella filosofia Huna è che ciascuno di noi crea la propria personale esperienza della realtà, attraverso le proprie convinzioni e interpretazioni, azioni e reazioni, pensieri e sensazioni. Non che la nostra realtà sia stata creata per noi come risultato di queste espressioni personali: noi siamo creatori o co-creatori dell’universo stesso e l’Huna insegna a farlo in modo consapevole.

Nell’Huna, Dio e l’Universo (cioè tutto ciò che è, era o sarà) sono la stessa cosa, il nome hawaiano di questa presenza eterna e infinita è Kumulipo, “fonte della vita o grande Mistero”.

I Principi insegnati e praticati dall’Order of Huna International sono:

  1. Il mondo è quello che noi pensiamo che sia. È il principio basilare dell’Huna e significa che siamo noi a creare la nostra personale esperienza della realtà attraverso le nostre convinzioni, aspettative, atteggiamenti, desideri, paure, giudizi, sensazioni, pensieri e azioni abituali. Questo principio contiene anche il concetto che modificando il nostro modo di pensare possiamo cambiare il nostro mondo.
  2. Non esistono limiti. La separazione è un’illusione, non ci sono confini tra noi e gli altri, tra noi e il nostro corpo, tra noi e Dio. Esiste un potenziale illimitato alla nostra creatività: possiamo creare, in una forma o in un’altra, qualsiasi cosa siamo in grado di concepire.
  3. L’energia scorre dove si concentra l’attenzione. L’attenzione concentrata è il canale che trasmette l’energia biologica e anche quella cosmica. I pensieri e i sentimenti sui quali ci soffermiamo, in piena consapevolezza o meno, formano lo schema che porta nella nostra vita l’esperienza più simile a quegli stessi pensieri e sentimenti.
  4. Il presente è il momento del potere. Nel momento presente abbiamo il potere di cambiare le credenze limitanti, non siamo legati da alcuna esperienza del passato, né da alcuna percezione del futuro. Il potere è dentro di noi e siamo liberi se ne siamo consapevoli.
  5. Amare significa essere felici insieme. L’universo e gli esseri umani esistono grazie all’amore che comporta la creazione della felicità, l’amore è l’unica etica necessaria nell’Huna.
  6. Ogni potere deriva dall’interno. Il potere di Dio o dell’Universo, agisce attraverso di noi nella nostra vita. Noi siamo il canale attivo di questo potere e le nostre scelte e decisioni lo dirigono. Nessun’altra persona può avere potere su di noi o sul nostro destino, a meno che noi non glielo permettiamo.
  7. L’efficacia è la misura della verità. Nell’universo infinito, postulato dall’Huna, non può esistere una verità assoluta, ma ci deve essere una verità effettiva a ciascun livello di coscienza individuale. Tutti i sistemi sono arbitrari, perciò sentitevi liberi di usare quello che funziona meglio.

Tutte le tecniche impiegate nell’Huna nascono dall’applicazione di questi principi, conoscendo i principi possiamo comprendere la vera natura di tutte le tecniche e anche crearne di personali.

Secondo la filosofia Huna, ciascuno di noi ha tre sé: un sé subconscio, un sé conscio e un sé superconscio: tre aspetti di un’unità con funzioni separate che, se interconnesse e integrate come un team, permettono una vita soddisfacente e sana. Se, al contrario, si viene a creare un conflitto tra i tre sé ne derivano malattie sia fisiche che mentali, oltre che problematiche sociali.

Nella concezione Huna il supercosciente richiama il Sé Cristico, o la Natura del Buddha dell’individuo, il Dio interiore.

Oltre ai tre sé e al corpo fisico, ogni individuo consta di altre due componenti: un corpo aka e il mana.

In hawaiano aka è assimilabile al corpo eterico composto dalla sostanza universale di cui è composto l’universo fisico, è un campo quasi-fisico che ci circonda e compenetra il corpo fisico; il mana è la forza, l’energia che sostiene la vita.

Immaginate un astronauta sulla Luna: la tuta spaziale è il corpo fisico, senza l’uomo che ci sta dentro è morta, senza vita. Il corpo fisico dell’astronauta è la mente subconscia che muove le gambe, le braccia in modo più o meno automatico. La mente dell’astronauta è la mente cosciente che dirige e motiva l’intero essere fisico. L’aka è l’aria che circola nella tuta, sia all’interno che all’esterno. Infine, il mana è la batteria di alimentazione sulla schiena della tuta, ne permette il funzionamento e il collegamento con la base sulla Terra che è il supercosciente. La base offre incoraggiamento, supporto e consigli ma non interviene mai direttamente, a meno che non le venga richiesto o quando c’è il pericolo che la missione fallisca.

Esplorare il mondo Huna è incontrare se stessi, è come contemplare un prisma, se vi ho incuriosito almeno un po' potrete soddisfare la vostra curiosità approfondendone i contenuti.

Tra le svariate pratiche Huna mi soffermerò sulla tecnica della meditazione.

La pratica di meditazione attiva e passiva

La meditazione è uno dei metodi più antichi e più diffusi nel mondo che permette agli esseri umani di modificare le condizioni della mente, del corpo ed esplorare le dimensioni oltre il sé. Vi è però molta confusione sulla meditazione a causa principalmente di due scuole di pensiero contrapposte: le discipline come lo Yoga e lo Zen enfatizzano la meditazione ‘passiva’ in cui i pensieri vengono spazzati via dalla mente per giungere al samadhi, una gioiosa unione con l’Infinito o Mente Cosmica. Mentre le religioni giudaico-cristiane, gli occultisti, i trainer delle tecniche di controllo della mente prediligono la meditazione ‘attiva’; la mente viene riempita attivamente delle qualità e degli eventi specifici che si vogliono manifestare.

Nella pratica Huna vengono utilizzate entrambe, la meditazione passiva è chiamata nalu mentre quella attiva è detta no’ono’o.

Il procedimento è articolato in 4 fasi:

  1. Consapevolezza, ike, cioè dirigere l’attenzione verso l’oggetto della meditazione.
  2. Rilascio o eliminazione, kala, di tutto ciò che distrae dall’oggetto della meditazione, come dubbi o tensioni.
  3. Attenzione intensa, o concentrazione, makia.
  4. La concentrazione continua unita al sentimento, manawa, fino al raggiungimento dello scopo della meditazione – questa fase comprende la trasmissione e/o la ricezione di energia.

Vibrazione di luce: un esempio di pratica di respirazione e visualizzazione

La posizione fisica da assumere nella meditazione è stare abbastanza comodi da non essere distratti dalle sensazioni del corpo. Eseguire una tecnica di rilassamento costituisce una preparazione alla meditazione. Una tecnica di respirazione è la seguente.

Fate semplicemente quattro respirazioni profonde e lente per ossigenare il sangue e accrescere l’attenzione, poi mantenete l’attenzione sul flusso naturale della respirazione finché vi sentite comodi e rilassati.

Visualizzare un’immagine o un suono o ancora un movimento e quindi centrare la consapevolezza in questo modo:

  • immaginate un punto di luce all’interno di voi stessi, all’altezza dell’ombelico, che sia il vostro contatto con una fonte di energia, potenza e amore illimitati;
  • immaginate questa luce che vibra a una frequenza molto alta, irradiando lentamente verso l’esterno in tutte le direzioni attraverso il vostro corpo, finché non siete circondati da ogni lato da un campo di luce vibrante;
  • immaginate che ogni volta che inspirate si irradi ancora più luce e che ogni volta che espirate la luce attorno a voi diventi più intensa e vibri più forte;
  • mantenete la consapevolezza su questa luce che vi circonda, per tutto il tempo che vi risulta possibile o pratico.

Si tratta di una tecnica che si può praticare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, con gli occhi aperti o chiusi.

Nell’Huna lo spirito, la mente e il corpo sono tutti collegati in un sistema coerente.

L’essenza della filosofia Huna è racchiusa in queste affermazioni:

Benedici il presente.
Abbi fiducia in te stesso.
Aspettati il meglio.

L'alchimia del fegato: un viaggio tra materia e spirito

 

L'alchimia del fegato: un viaggio tra materia e spirito

Il significato simbolico del fegato nell'antica storia di Prometeo, i suoi legami con la visione spirituale e la trasformazione interiore

27 MARZO 2024, 
Rubens, "Prometeo incatenato". Nella leggenda, il fegato di Prometeo diviene l'epicentro di una punizione divina, simbolo della lotta tra il potere e l'impulso creativo umano
Rubens, "Prometeo incatenato". Nella leggenda, il fegato di Prometeo diviene l'epicentro di una punizione divina, simbolo della lotta tra il potere e l'impulso creativo umano

La ribellione di Prometeo verso l’autorità di Zeus è stata oggetto di un precedente articolo, qui desidero esplorare il significato dell’organo umano racchiuso nel racconto: il fegato.

È noto che l’astuto Prometeo, rubando il fuoco agli dei e donandolo agli uomini, scatenò l’ira di Zeus che lo punì facendolo incatenare nudo a una roccia in compagnia dell’aquila Aithon alla quale diede l’orribile compito di squarciargli il petto ogni giorno e di divorarne il fegato che, sistematicamente, ricresceva nella notte.

Tale supplizio ebbe fine quando Eracle, scoccando una freccia, uccise l’aquila, dopo ben 13 generazioni. E non è un caso che Eracle giunga ad uccidere l’aquila dopo 13 generazioni poiché esse sono necessarie affinché l’Uno, origine di tutte le cose, si unisca al 3 che rappresenta la completezza e la perfezione, formando così il 13 l’Alchimista, colui che compie la Grande Opera ovvero la trasformazione del piombo, ciò che è negativo, in oro, ciò che è positivo nell'uomo, per fargli riscoprire la sua vera natura, simboleggiata dalla pietra filosofale.

Prometeo con il suo atto, il dono del fuoco, apre gli occhi dell’uomo alla visione spirituale, il fuoco è esso stesso lo Spirito che discende nella materia e offre all’umanità la possibilità dell’evoluzione spirituale. Zeus rappresenta il potere supremo che in un certo senso condanna l’impulso creativo.

Simbolicamente la roccia rappresenta la stabile condizione dell’umanità, ancorata alla materialità, ma cosa rappresenta l’aquila e soprattutto il fegato? Il fegato, dal greco ἧπαρ, -ατος = epar, epatos (epatico), è la ghiandola più grande del corpo, inizia la sua crescita già nell’embrione e si sviluppa per circa quindici anni. La sua funzione è importantissima poiché, oltre a essere fonte di energia per l’organismo, dapprima metabolizza le sostanze tossiche e poi le elimina, senza dimenticare che produce la bile essenziale ai processi digestivi.

È importante sottolineare che il termine ‘fegato’ deriva anche dal latino ficatum, aggettivo collegato ai fichi -iecur ficatum e alla pratica di ingrassare il fegato d’oca con i fichi.

Questo organo è uno dei più resistenti del corpo umano, è versatile nelle sue funzioni, ha la capacità di rigenerarsi ed è collegato anche agli occhi che si nutrono del sangue epatico.

Sappiamo che la vista è il senso deputato alla percezione degli stimoli luminosi che, attraverso l’occhio, vengono trasmessi ai centri nervosi e tramutati in immagini.

L’occhio è l’archetipo della riflessione, guarda e si rispecchia, crea una corrispondenza tra sé e il mondo. Quando l’individuo è in equilibrio può avere una visione chiara della sua vita e coraggiosamente affrontare i cambiamenti necessari alla risoluzione delle situazioni problematiche che troverà lungo il cammino esistenziale.

Di contro, se lo stato emotivo prevalente è la rabbia, la frustrazione, vi è una perdita di forza, di energia, dovuta a un eccesso di fuoco con le conseguenti sintomatologie; palpitazioni, insonnia, isolamento, chiusura in se stessi. La soluzione è quindi disintossicarsi dalle tossine emozionali, assumersi la responsabilità del proprio stato emozionale e accettare il cambiamento. Chi rinuncia a se stesso, rinuncia alla realizzazione della propria natura che deve trascendere la vita puramente vegetativa per giungere alle vette della coscienza e dello spirito.

Esotericamente l’occhio onnisciente è collegato al fegato che custodisce l’anima spirituale, è il celebre occhio di Horus, simbolo del sole, di potere, salute e prosperità.

L’occhio destro di Horus simboleggia la chiara visione spirituale, è l’occhio della misericordia, mentre l’occhio sinistro rappresenta l’ira di Horus combattente, è la colonna della giustizia e della forza.

In sostanza il fegato è come un laboratorio dove vengono modificate e poi espulse le sostanze tossiche come i veleni e i farmaci, vengono metabolizzati gli aminoacidi e sintetizzate le proteine, producendo così l’energia vitale. Ed è proprio la sintesi delle proteine che ha un valore simbolico poiché rappresenta l’evoluzione data dalla sintesi della molteplicità del micro e del macrocosmo in una unità.

Ciò che fa ammalare il fegato sono gli eccessi, di cibo, di alcool, di grassi, che causano uno squilibrio, una difficoltà nella elaborazione delle sostanze che entrano nel corpo. Ma le tossine non sono solo sostanze fisiche ma anche quei pensieri ed emozioni che provocano una disarmonia: rabbia, ira, invidia, rancore, frustrazione, se persistenti e non elaborate alla lunga producono malattie del fegato. Lo stress psichico attacca fortemente il fegato e disequilibra lo scorrere dell’energia.

Espressioni come ‘rodersi il fegato dalla rabbia’, ‘ci vuole fegato’, ‘accecato dalla rabbia’, si riferiscono proprio alle funzioni simboliche di questo organo.

Il fegato è inoltre collegato al terzo chakra Manipura, sito nel plesso solare, simboleggiato dal loto dell’armonia e connesso all’elemento fuoco.

Il plesso solare rappresenta l’apparato digerente che controlla l’azione dei 3 organi cavi, stomaco, intestino e cistifellea, e dei 2 organi pieni, fegato e pancreas. Questi organi permettono l’assimilazione del cibo che dall’esterno entra nel corpo e giunge nello stomaco, l’atanor dove il cibo viene ‘bruciato’ dal fuoco chimico degli acidi che lo atomizzano trasformandolo e assimilandolo, divenendo così parte dell’organismo stesso, una vera operazione alchemica!

Vi è quindi una corrispondenza tra la funzione fisiologica del fegato e quella spirituale; i processi digestivi, metabolici e immunitari sono paralleli a quelli spirituali poiché il fegato lavora con le sensazioni profonde dell’essere umano connesse al Sé superiore che è la sede delle emozioni.

Così come il fegato disgrega e assimila le sostanze, così la psiche trasforma gli istinti primordiali in immagini che la coscienza assimila e amplifica.

L’archetipo del fegato consta sia della forma fisica che di quella sottile, psichica e spirituale, la sua funzione è di trasformare la materia grezza ovvero gli istinti in materia sottile, evoluta. L’essere umano ha, quindi, la capacità di recuperare dentro di sé la visione simbolica che, dinanzi alla frammentarietà dell’io, permette l’integrazione delle parti verso una totalità che è l’essenza dell’archetipo. Metaforicamente l’aquila (la coscienza) divora il fegato (la forza vitale dell’anima), di esistenza in esistenza, in un ciclo continuo di dissoluzione, reintegrazione e assimilazione totale.

In questa ottica si può anche comprendere l’arte divinatoria etrusca dell’aruspicina, cioè la divinazione dal fegato dell’animale sacrificato, basata anch’essa sulla stretta relazione tra micro e macro cosmo. Prometeo rappresenta quindi il coraggio, l’agire con il cuore, che permette di trascendere gli impulsi inferiori verso l’evoluzione spirituale.

Il fegato è in un certo senso il sole energetico dell’uomo che è di fronte a una scelta: o obbedire al cuore e quindi operare la pace dentro e fuori di sé, oppure piegarsi all’Ego, alle passioni istintuali e sessuali, alla pura materialità.

In conclusione, il fegato è come una medaglia, da un lato è l’organo della collera, delle pulsioni istintuali e sessuali, della materialità, dall’altro è l’organo del coraggio, essenziale per sublimare il desiderio in amore per la vita spirituale.

L'uomo non è sminuito dall'avere una parte mortale, ma questa mortalità accresce la sua possibilità e la sua potenza. Le sue doppie funzioni gli sono possibili per la sua doppia natura: egli è costituito in modo da abbracciare ad un tempo il terrestre e il divino. Anzi non temiamo di affermare la verità. L'uomo vero è al di sopra degli Dei celesti o per lo meno uguale a loro. Poiché nessun dio lascia la sua sfera per venire sulla terra, mentre l'uomo sale in cielo e lo misura. Onde osiamo affermare che l'uomo è un dio mortale e che un dio celeste è un uomo immortale.

(Corpus Hermeticum, libro X)

Donne: archetipi e dualità nella società

 

Donne: archetipi e dualità nella società

Un viaggio di conoscenza: la femminilità, i conflitti di genere e l'equilibrio interiore nel mondo moderno

27 APRILE 2024, 
Donna abbracciata dal vento con velo sospeso. Ricerca della verità interiore: esplorando il senso di estraneità nel mondo
Donna abbracciata dal vento con velo sospeso. Ricerca della verità interiore: esplorando il senso di estraneità nel mondo

La sensazione di essere una straniera in questo mondo mi accompagna fin da bambina, come se fossi stata catapultata qui da un’altra dimensione, disorientata, estranea, riluttante agli schemi di pensiero della società o della famiglia e per questo spesso appellata come complicata, ribelle. Questa percezione è comune in moltissime donne e bisogna avere molto coraggio e fiducia in se stesse per liberarsi dalle etichette e affermare la propria concezione della vita.

Non stupisce quindi che per gli uomini la donna sia un essere incomprensibile, misterioso, impenetrabile! Ne sono affascinati ma stentano a comprenderla, possono solamente arrendersi al mistero che nascondono. La dimensione ignota delle donne suscita o ammirazione o paura, ed è proprio quest’ultima che nel Medioevo ha condotto gli inquisitori a bruciarle vive al rogo perché considerate delle streghe, un atto che simboleggia la distruzione dell’essenza sconosciuta e inquietante delle donne per evitare di doversi confrontare con essa.

La straniera è un archetipo, rappresenta colei che ricerca la verità, l’autenticità interiore, la conoscenza del proprio potere spirituale ed è proprio il confronto con questo archetipo che permette alle donne di conoscersi a fondo ed essere una ricchezza portando nel mondo qualcosa di nuovo, che siano modelli di pensiero, comportamenti, idee…

Le donne consapevoli della loro identità ed essenza non si pongono in opposizione all’uomo, come purtroppo è accaduto con il femminismo, un fenomeno che, nella seppur legittima spinta verso la parità di diritti, ha però provocato una sorta di antagonismo, una ‘invidia del pene’ verso il potere dominante degli uomini con il conseguente allontanamento delle donne dal principio femminile.

Questo atteggiamento, dal canto suo, ha reso insicuri gli uomini, che spesso vorrebbero mantenere il ruolo tradizionale della donna come madre e moglie senza conceder loro un cammino indipendente, soprattutto perché in questo modo dovrebbero affrontarlo pure loro, mettendosi in discussione e questo nella maggior parte dei casi finisce per terrorizzarli.

Nascono pertanto conflitti tra ricerca di liberazione interiore femminile e l’istinto maschile di conservazione del proprio ruolo antico, se possibile prevaricante. Da questo si determinano sfide nella coppia invece che perseguire obiettivi di integrazione, equilibrio e armonia.

Ed è quello che è accaduto col movimento femminista, che ha condotto spesso la donna da un lato ad autocommiserarsi, dall’altro ad autocompiacersi e magari ad accentuare la conflittualità con il mondo maschile, come è evidente in questa citazione di Charlotte Witton (politica canadese) femminista:

Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile.

Piuttosto che disperdere la propria forza vitale in sterili modalità competitive o di dipendenza, la donna dovrebbe innanzitutto essere consapevole delle sue debolezze e del motivo che l’ha condotta a sentirsi schiava e sottomessa all’uomo.

I due principi della creazione sono l’agire e il lasciare che sia e devono interagire armoniosamente affinché il risultato dell’atto creativo sia costruttivo, ogni disequilibrio tra i due principi porta invece un esito distruttivo.

Il principio maschile, attivo, è l’azione, il mettere in movimento, l’andare verso, chiama in raccolta le forze creative e le usa per raggiungere un obiettivo, rimuovendo ogni ostacolo.

Il principio femminile è il ‘lasciare che sia’, la ricettività, l’aspettare con fiducia e pazienza che giungano i risultati attraverso il processo di maturazione della creazione, è l’incubazione, la gestazione fondata sulla resa al divino, sulla fede nella benevolenza della vita. Ed è per questa qualità che la donna è l’intermediaria tra le dimensioni, ricordo che un faraone non poteva regnare senza una regina, una donna invece poteva farlo da sola come Cleopatra.

Questi due principi sono presenti sia negli uomini che nelle donne, agiscono nella psiche e vengono espressi entrambi nelle donne e negli uomini consapevoli, sani e realizzati. Ogni distorsione tra i due principi conduce alla disarmonia, al conflitto, alla sofferenza.

Quando i due aspetti del dualismo, apparentemente opposti, si riconciliano procedono verso una sola meta. È scritto nelle Upanishad, testi religiosi e filosofici indiani, che quando un uomo e una donna si amano ognuno riconosce nell’altro il proprio Sè superiore, l’atman, che è unitario ed è così che si realizza la liberazione dalla schiavitù dei sensi.

Così come l’opera alchemica è la realizzazione dell’androgino, frutto della fusione di Adamo ed Eva. La questione è quindi non la ricerca della metà ma intendere l’altro come complemento già integro, laddove uno più uno fa Uno.

Ovviamente tale processo d’integrazione della dualità viene ostacolato dalle forze caotiche che cercano di impedire all’essere umano di liberarsi da questo inferno e la misoginia in questo senso è un atteggiamento ‘tecnico’ che ha proprio questo scopo. La donna completamente purificata dalle scorie della materia è capace di veicolare l’energia divina, di assolvere alla funzione pentecostale, e può essere una vergine o una prostituta.

Il perfetto equilibrio tra i due principi però non può essere frutto di un atto intellettuale ma soltanto dell’atto interiore di amare, di liberare l’altro sesso dalle catene dell’odio, della diffidenza e dell’ostilità.

Il cerchio della vita è un alternarsi dell’entropia, quel caos da cui tutto proviene e dove tutto è possibile, e della sintropia, la forza che mette in ordine, si tratta perciò di coniugare il bilanciamento tra le forze.

Il mondo nuovo si realizzerà quando entrambi i sessi si lasceranno guidare dall’amore che conduce alla verità, creando nella complicità, nella comprensione, nella collaborazione, nel rispetto reciproco.

Ed allora non si sentiranno più degli stranieri in questo mondo ma Uno con esso.