sabato 27 febbraio 2021

Una conversazione soavemente sovversiva con il regista Fabrizio Catalano, nipote del grande Leonardo Sciascia

 

Intervista al regista Fabrizio Catalano

Una conversazione soavemente sovversiva

27 FEBBRAIO 2021, 
Fabrizio Catalano, regista, autore, foto di Concita Guastella
Fabrizio Catalano, regista, autore, foto di Concita Guastella

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L'audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.

(Johann Wolfgang Goethe)

Alcuni incontri significativi nascono da un atto audace, dal coraggio di estrarre un filo magico dagli intrecci delle tessiture dei mondi invisibili.

Ecco perché ho scelto un personaggio del calibro di Fabrizio Catalano, autore, regista, sceneggiatore, traduttore, per questa ‘conversazione soavemente sovversiva’. E se non bastasse, il nostro regista è anche il coordinatore delle celebrazioni per il centenario della nascita di suo nonno, il grande Leonardo Sciascia, un libero pensatore, osservatore critico dei suoi tempi. Di certo ne ha assorbito i principi, le idee, il suo intelletto ne è stato forgiato respirandone il genio, come lui stesso ha affermato sostenendo che ne “percepiva le atmosfere”.

Ascoltando, infatti, una delle sue tante interviste, mi hanno colpito frasi come: “Viviamo in un periodo di eccesso di tecnologia ma di scarsa consapevolezza” o “Gli intellettuali sono gli anticorpi della società”.

In un’epoca come la nostra dove si sta sempre più affermando un pensiero unico che fagocita tutte le menti, Catalano offre spunti di riflessione divergenti rispetto alla normalità imperante sia a livello nazionale che internazionale.

Quale eredità etica ed intellettuale hai ricevuto da Leonardo Sciascia?

Credere nelle idee ed essere disposto a lottare per affermarle. Intanto però bisogna averle, le idee…

Sicuramente, anche se vivo in un frangente storico diverso, una parte del patrimonio ideologico di mio nonno, inteso nel credere in idee e ideali, appartiene al mio corredo genetico, ma abbiamo un modo differente di declinare le idee. Mio nonno non era cosi taciturno come lo descrivono, però non era nemmeno loquace come me. In ogni modo, non mi sforzo di muovermi nel solco della sua lezione, infatti mi risulta umanamente facile non accettare compromessi, anche se lo sforzo si rivela moltiplicato per le differenti regole della società attuale. Sciascia scrisse un articolo dirompente e provocatorio per quei tempi, I professionisti dell’antimafia, ebbene a me piacerebbe scriverne uno intitolato I professionisti della democrazia, intendendo tutti coloro che affermano di portare la democrazia ma in realtà la compromettono, come sta accadendo oggi in Italia. A parte l’improponibile paragone tra me e mio nonno, Sciascia scriveva per Il Corriere della Sera, che non solo oggi non pubblicherebbe il mio articolo, ma nemmeno l’articolo più famoso di mio nonno.

A proposito poi di ascendenze familiari, sono stato educato al razionalismo, ma credo di arrivare alle mie conclusioni visionarie non per interconnessioni razionali, semmai per intuito.

Qual è il tuo punto di vista sulla situazione attuale del nostro Paese e del resto del mondo?

Potrei riassumerlo in una parola: “desolazione”, ma volendo essere più sfaccettati, osservando quanto accade in Italia e in gran parte del pianeta - salvo alcuni rari esempi di governi o gestioni più felici - il concetto imperante sembra essere quello di desolazione, tristezza, amarezza, rabbia, collera. Se vogliamo rimanere entro i confini della nostra nazione, a prescindere dalle idee di ognuno, uno dei grandi limiti della società è di non riuscire più a valutare gli eventi e le azioni con obiettività. Credo che, nel momento in cui un Governo sia votato contemporaneamente dalla signora Segre, reduce dai campi di concentramento, e dalla signora Polverini, che adotta ancora il saluto romano siamo giunti a un cortocircuito ideologico e culturale irrisolvibile. Il dramma ovviamente è che, quando la Segre e la Polverini votano la stessa cosa, è la Polverini che ha ragione! E forse, mi permetto di dire, che qualcuno, in riferimento alla signora Segre, dovrebbe cominciare a preoccuparsi non solo di intercettare, individuare e punire chi insulta una signora anziana che ha sofferto pene che non si possono augurare a nessuno e che restano una macchia indelebile nella storia di questo continente, ma anche di cogliere che, da qualche tempo, la sofferenza di questa signora è sfruttata e usata in modo assai scorretto: per cui l’immagine è veramente quella della desolazione.

Ti riferisci anche al fatto che non esistono più ideali politici, visioni lungimiranti rispetto al futuro del Paese, ritieni sia tutto riconducibile a questioni di interessi e profitto?

Esatto! Se volessimo cercare un appiglio nei vecchi ideali dovremmo ammettere che nel Parlamento italiano siedono solo partiti di destra; partiti di destra liberali che fanno gli interessi dei ricchi come il Partito Democratico e Forza Italia, partiti di destra che stimolano gli istinti come Fratelli d’Italia, la Lega o anche il Movimento 5 Stelle, che è un particolare cortocircuito, un partito nato per incanalare gli istinti ma che in realtà è diventato una sorta di Democrazia Cristiana senza cultura.

Assistiamo da tempo a un processo educativo che schiaccia e reprime la capacità di mettere in discussione le idee, conducendo addirittura a credere di non avere assolutamente scelta. Cosa pensi di questa sottomissione silenziosa a tutte le imposizioni dei decreti, alla limitazione dei diritti personali e civili?

Ritengo che tutti questi divieti non abbiano prodotto grandi risultati, non voglio mettere in discussione la buona fede di ognuno, anche se non ne sono certo, ma volendo ammettere che all’inizio della pandemia si fosse realmente spiazzati, questo vale per il Governo italiano come per tanti altri, è evidente che restare chiusi a casa non sia la giusta soluzione, del resto storicamente si sa che il proibizionismo non è risolutivo. Se proibisci di bere alcool, la gente berrà di nascosto, se proibisci alle persone di uscire di casa, una parte delle persone rispetterà questo provvedimento, ma un’altra parte comunque uscirà, quindi presumibilmente il provvedimento stesso sarà fallimentare non giungendo a risolvere il problema. Ormai è chiaro e palese che una percentuale della popolazione ceda a queste tentazioni, e questa è una reazione naturale che può essere condannata ma non evitata.

Dove sono finiti gli intellettuali? Quelli che hai definito “anticorpi della società”, le figure che sovvertono gli schemi, li ribaltano, pungolano le coscienze e veicolano altre interpretazioni della realtà?

Si dimentica che oggi siamo imbrigliati in questo concetto astratto e vago di “politicamente corretto”: se lo intendiamo come non insultare o abusare del più debole è un fatto, ma se pensiamo alle manifestazioni dell’arte e dell’intelletto, possiamo affermare che tutta l’arte non solo del mondo latino ma soprattutto italiana è “politicamente scorretta”. Dante ha scritto la Divina Commedia per vendetta, Caravaggio non era politicamente scorretto? Botticelli, che ci sembra così sensuale e poetico, ha dipinto una nascita di Venere in un tempo in cui tutti rappresentavano Madonne. E se andiamo avanti verso tempi più recenti, mio nonno o Pasolini non erano politicamente scorretti? Il Western all’italiana, il genere di cinema largamente più visto nel secolo scorso in tutto il mondo, non era politicamente scorretto? La nostra forza era questa.

Se mettiamo a confronto, dopo la rivoluzione di Caravaggio, i quadri dei pittori olandesi e quelli dei pittori italiani notiamo che i primi hanno una luce infinitamente più raffinata e sono politicamente corretti - vediamo l’astronomo col mappamondo, la ragazzina che legge la lettera - mentre nei quadri caravaggeschi italiani sono raffigurate la ragazza che taglia la testa al gigante e le prostitute, viene cioè rappresentato un mondo più vero, forse meno raffinato ma piuttosto sfacciato, se non addirittura totalmente inverecondo.

L’arte politicamente scorretta che sovverte i dogmi, anche religiosi, è quindi latitante in questo periodo storico?

L’artista, l’intellettuale - parola quest’ultima assai vaga - devono essere divisivi. Rispetto alle recenti celebrazioni del centenario di mio nonno sono rimasto stupito e anche un po' deluso da una certa unanimità: perché Sciascia non deve piacere a tutti, anzi a qualcuno non deve piacere. Nel suo penultimo romanzo Il cavaliere e la morte, mio nonno ha scritto che “la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”: è esattamente quello che sta accadendo oggi nel mondo, quindi egli non può piacere a chi ci governa, deve piacere a chi vuole mandare in frantumi il sistema. In questo stesso dialogo tra il protagonista del suddetto romanzo breve e un suo interlocutore, quest’ultimo risponde: “Di tutti i cittadini, anche di quelli che spargendo insicurezza si credono sicuri”. È questo che ci dà speranza al giorno d’oggi, che l’insicurezza si ritorcerà contro chi la sta spargendo.

Quale significato nascosto si cela secondo te dietro gli avvenimenti contemporanei?

Devi sapere che su molti argomenti sono quello che si può definire un estremista. Prendiamo in considerazione, per esempio, il mondo dell’informazione. Assistiamo ad una estremizzazione: da una parte vi è un’apparente libertà di espressione attraverso i social, tutti possono avere un sito Internet ed esprimere le proprie idee, d’altro lato circolano nel web molte notizie false, tendenziose, addirittura folli. Mi posso anche permettere di dire - e nel circuito italiano ciò è palese - che i mezzi di informazione più tradizionali sono quelli più inattendibili: mi spiego meglio, i tre grandi quotidiani più letti La RepubblicaIl Corriere della seraLa Stampa, sono diventati i più inaffidabili in Italia. I grandi mezzi di informazione tendono a fare un unico pappone in cui chi dice che la terra è piatta e chi sospetta che il virus potrebbe essere nato in laboratorio sono la stessa cosa, invece la terra palesemente non è piatta, il virus molto probabilmente è nato in laboratorio. Vorrei dire che chi ha qualche vago contatto con le alte sfere delle forze dell’ordine è consapevole che l’origine non naturale del virus sia per molti un segreto di Pulcinella, anche se bisogna mantenere il beneficio del dubbio, visto che non si possiedono informazioni di prima mano.

Abbiamo la libertà di attingere alle più svariate fonti giornalistiche, ma quanto pesano controllo e censura sulla vera informazione?

Si attua una censura enorme e anche un’autocensura. Voglio farvi un esempio: in un film western del 1967 intitolato Se sei vivo spara, a un certo punto dei banditi messicani si ubriacano, hanno davanti un ragazzino biondo e, benché la scena non si veda, si capisce che lo violentano. Filmare una scena del genere non vuol dire avallare lo stupro di minori, ma significa raccontare la realtà: siamo messicani, siamo dei delinquenti, ci sentiamo esclusi dalla società, abbiamo accumulato frustrazioni, possediamo meno mezzi di difesa, abbiamo questo ragazzino biondo, effeminato, che rappresenta al contempo la parte debole di quelli che ci hanno emarginati e ci vendichiamo su di lui. Oggi non solo taglierebbero la scena, ma non la filmeresti per varie ragioni, sponsor, pubblicità, etc. Non sei bloccato dagli altri, sei tu che ti blocchi, perché se decidi di farlo devi affrontare una sorta di isolamento. Non tutti hanno il coraggio e la forza di essere isolati perché c’è il problema di pagare le bollette, di lavorare, per cui non a tutti si può chiedere l’atto eroico di opporsi singolarmente al sistema.

Come sarà il nostro prossimo futuro?

Non riesco a non vedere nel futuro, sparpagliata per questo continente, una situazione che affettuosamente chiamerei ‘Guerra Civile’, non perché rappresenti una mia aspirazione, piuttosto perché se chi gestisce il Potere opera una tale negazione della realtà, la realtà verrà a galla comunque immancabilmente vincitrice. In una poesia del poeta belga Georges Rodenbach si afferma: “La vie impérieuse, habile aux manigances, a des tapotements de doigts sur les cloisons”. Ossia, “per quanto tu ti rinserri dentro casa la realtà verrà sempre a bussare alla finestra”. Il mondo si sta impoverendo, chi è ricco lo è per soldi che non esistono. Pare che il famoso vecchio ministro zoppo tedesco abbia detto, mentre faceva fallire la Grecia, “io sogno la troika a Parigi”, ma questo desiderio si scontrerà col fatto che la Francia possiede la bomba atomica e la Germania no, la Francia non fallirà mai se può con una bomba atomica su Berlino risolvere il problema e questo si può moltiplicare per ogni contrasto, per quello tra Stati Uniti e Cina e così via. In una società patriarcale, per chiudere il cerchio, basata sulle potenze, se neghi la realtà non puoi che arrivare alle estreme esplosioni di violenza.

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Maria Burgarella
Nata a Trapani e laureata in Psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, è studiosa di Alchimia Trasmutativa, psicologia quantistica, tecniche a mediazione corporea. La passione per l’arte e la scrittura si integrano nel suo approccio olistico alla comprensione della Psiche.

lunedì 15 febbraio 2021

Cha no yu, la cerimonia del tè giapponese. La celebrazione della transitorietà

 

Cha no yu, la cerimonia del tè giapponese

La celebrazione della transitorietà

27 GENNAIO 2021, 
La cerimonia del tè in una "ryokan", tipica casa Giapponese
La cerimonia del tè in una "ryokan", tipica casa Giapponese

Il nome Giappone contiene in sé l’essenza della sua cultura: nippon-ascolta, è rappresentato da questi due simboli 日本, i cui significati sono sole e origine, quindi origine del sole. Infatti questo Paese è chiamato “terra del Sole nascente”, proprio per la sua posizione a Oriente rispetto alla Cina.

È un luogo dai mille misteri, dal fascino antico e dal sapore moderno, una sapiente miscela tra passato e presente.

I giapponesi, la natura e le piante sono inseparabili, ne ascoltano i ritmi, le stagioni, considerano divine le montagne e venerano ancora oggi gli alberi.

È affascinante la calma e la centratura di questo popolo che da 200.000 anni è insediato in una terra turbolenta, in continua relazione con i circa 200 vulcani, molti dei quali attivi, con i terremoti e gli tsunami, come se la serenità degli abitanti compensasse l’inquietudine del luogo.

I vulcani eruttano senza preavviso, la precarietà e la transitorietà dell’esistenza è tangibile, si respira nell’aria, così la popolazione tende a festeggiare ogni attimo di ogni singolo giorno, aspirandone il profumo, inebriandosi dell’essenza vitale in tutto ciò che riempie la vacuità, mettendosi in ascolto della terra e degli esseri viventi che la abitano.

La consapevolezza di questa evanescenza raduna migliaia di giapponesi a celebrare la fioritura dei ciliegi, a cucinare e servire con dovizia e rispetto cibi stagionali, a percepire gli elementi invisibili della Natura: chi non si lascerebbe incantare dalle danze e canti delle donne ainu, l’antica popolazione autoctona, dal loro battere le mani come ali di farfalle attorno al fuoco, dalla perdita dei confini dei corpi al ritmo del canto, fino a ignorare davvero chi canta e cosa, in una fusione armonica con il tutto?

Chi non vorrebbe partecipare alla cerimonia del tè, un rito quotidiano che ha il profumo dei millenni?

Sen no Rikyū, il monaco buddista zen che ha codificato la suddetta cerimonia alla fine del ‘500, la descrive con queste semplici parole:

Ci si dovrebbe rendere conto che la via del tè è solo bollire l'acqua, preparare il tè e berlo.

La cerimonia del tè, Cha no yu che significa “acqua calda per il tè”, è un rito sia spirituale che sociale e rappresenta una delle tradizionali arti zen. Essa si basa sullo stile wabi-cha, semplice e sobrio, strettamente connesso agli insegnamenti buddisti. Già Murata Shuko, monaco zen, ne evidenziò la semplicità in una metafora poetica: “uno splendido cavallo si manifesta meglio in un'umile capanna che in una sontuosa stalla”; il cavallo simboleggia la mente originaria mentre l’umile capanna di paglia indica l’essenzialità della stanza del tè, a richiamare l’estetica giapponese, ovvero la visione del mondo fondata sull’anitya, l’impermanenza, la transitorietà e l’imperfezione delle cose che bisogna accettare.

Ma in cosa consiste tale cerimonia per lo stesso Sen no Rikyū?

Il cuore della cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.

Questa cerimonia è la più pura espressione dell’estetica zen: si entra da una porta talmente bassa che costringe a piegarsi in segno di umiltà, nella stanza del tè chiamata chashitsu. Essa è piccola e poco illuminata in modo da far risaltare la forza espressiva dei pochi oggetti presenti. In un lato della stanza vi è il tokonoma, una nicchia dove è esposto un rotolo con le scritture. È presente anche un tronco di legno grezzo chiamato toko-bashira dove è appesa una composizione con i fiori di stagione chiamata chabana o fiori per il tè.

L’atto del preparare il tè viene indicato con il verbo tateru – celebrare, è un rituale sacro codificato. Dopo che gli ospiti si sono accomodati in ordine precostituito – a partire dalla persona più importante o prediletta -, il teishu, colui che prepara il tè, entra dalla porta scorrevole, si inginocchia e inizia il rito di preparazione, al suono della parola okashi - servitevi il dolce, prego. Dopodichè, il teishu pone la tazza chiamata chawan davanti al primo invitato che, scusandosi con il vicino, chiede il permesso di servirsi, quindi prende la tazza girandola per esporre lo shōmen (parte della finitura che funge da riferimento) e beve a piccoli sorsi mostrando gradimento. Poi pulisce la tazza e la pone dinanzi a sé, il teishu la lava e la cerimonia prosegue fino a quando tutti hanno bevuto. A questo punto il primo ospite chiede il permesso di analizzare gli utensili, la teiera e il cucchiaino di bambù, che verranno osservati anche dagli altri. Infine, verrà esaminata la tazza, chiedendo informazioni su chi l’ha creata e sullo stile, è possibile darle un nome poetico o recitare una poesia.

La cerimonia si conclude con il teishu che si alza in piedi, si inchina sincronicamente agli ospiti e va via richiudendo la porta.

È suggestivo anche il contesto in cui il rito si svolge: si tratta di piccole costruzioni di legno situate in giardini ricchi di acqua e rocce, basterebbe anche solo il luogo per riportare l’uomo verso la dimensione della presenza.

Bisogna tener presente, inoltre, che, in Giappone, come del resto anche in Cina, la bevanda comune durante i pasti è proprio il tè, ma mentre i pasti sono accompagnati dai tè comuni quali il Bancha normale o tostato, nel corso della cerimonia si usa il prezioso tè verde Matcha, prodotto nella città di Nishio ed è l’unico tè preparato con le foglie di tè polverizzate. E lo stesso processo di lavorazione del tè è un vero rito: per rendere più morbide le foglie e poterle arrotolare più facilmente, il tè viene cotto a vapore, per un periodo molto breve e ad altissime temperature. Questo consente di bloccare il processo di ossidazione mantenendo così il colore verde brillante originario. E anche nelle piantagioni, prima di effettuare il raccolto dei germogli, le piante vengono ombreggiate coprendole con dei teli per almeno tre settimane prima di cogliere solo le prime foglioline giovani perché sono le più ricche di aromi. Per questo vengono raccolte a primavera e questo le rende particolarmente pregiate. Infatti, nel rito non si ottiene l’infusione, ma si mescola la polvere con l’acqua calda, quindi la bevanda che si ottiene è una sospensione con un metodo appreso dai monaci che assumevano la bevanda allo scopo di restare svegli nel corso dei periodi di meditazione. E così si ingerisce l’intera foglia che contiene tutte le sostanze nutrienti. Il Matcha è, infatti, un tè verde estremamente energetico, ricco di vitamine e minerali ma anche di teina.

La cerimonia completa ha la durata di circa quattro ore comprendendo anche la prima parte dove si assume un pasto leggero. Vi sono delle varianti complesse di questa cerimonia, l’aspetto affascinante è la dimensione spirituale che impregna ogni atto, ogni gesto.

La stanza stessa finisce per essere sia uno spazio fisico che spirituale, dove si sospende il brusio della mente, si è condotti nella dimensione dell’adesso e tutto il resto diventa evanescente. Si ascoltano i suoni degli oggetti, i respiri degli altri, si percepiscono le vibrazioni di ogni singolo atto rituale. Il vuoto della stanza rappresenta anche il vuoto mentale, una sorta di setaccio che separa le preoccupazioni e gli attaccamenti dall’essenziale, il momento presente. Ancora più in profondità, il tutto risulta essere solo vacuità e il nulla solo silenzio vuoto.

Questa cerimonia ci induce a fare alcune riflessioni, a chiederci:

In che modo guardiamo le cose?
Siamo presenti in ogni azione o gesto che compiamo quotidianamente? Quando giriamo il cucchiaino nel caffè dove siamo con noi stessi?
Quanti atti compiamo nell’inconsapevolezza?

Siamo nell’adesso, nell’eterno presente in cui passato e futuro coesistono nella simultaneità, in un flusso che contiene tutte le direzioni. Riportare nel qui e ora la consapevolezza è un atto rivoluzionario, ha un potere silenzioso che destabilizza quello della mente lineare proiettata al futuro o rivolta al passato. Lo stesso Sen no Rikyū dovette ricorrere al seppuku, il suicidio rituale esclusivo dei samurai, una silenziosa ma assordante protesta verso la tirannia di Toyotomi che si sentì minacciato dal cerimoniale del tè che rendeva tutti uguali, disarmati e inginocchiati. Questo grande monaco buddista zen ha impresso nella cerimonia i quattro principi dei suoi insegnamenti: armonia, rispetto, purezza e tranquillità.

L’armonia è nella relazione tra i partecipanti, gli oggetti e il cibo, nel ritmico ciclo della vita e delle cose, che pur rimanendo uguali sono soggetti al mutamento, all’effimero che diventa l’unica realtà.

Il rispetto risiede nel riconoscimento della dignità insita in ogni uomo e in ogni semplice oggetto, la consapevolezza di essere in comunione col tutto.

La purezza contiene sia il puro che l’impuro come parti della realtà, si riferisce all’accoglienza del bello che si attua nella pulizia della stanza del tè così come dentro se stessi, spazzando via ciò che impedisce al bello di esser visto.

La tranquillità è stare in un luogo lontano dal frastuono del mondo, in ascolto del ritmo naturale, libero dai condizionamenti e vincoli, percependo la serenità e la sacralità dell’esperienza solitaria o condivisa con gli altri.

Mi piace osservare come, in questi tempi drammatici dove la libertà di movimento è stata ridotta, i lunghi periodi da trascorrere dentro le proprie abitazioni potrebbero essere utili per farci ritrovare la magia del tempo, spingerci a compiere veri e propri riti per ristabilire il nostro equilibrio interiore, a gustare il cibo e le bevande senza fretta, nella piena presenza di noi stessi.

Vivere una vita in umiltà ed in armonia con la natura e le persone, nel pieno rispetto della cultura Zen, semplicemente, ora.


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Maria Burgarella
Nata a Trapani e laureata in Psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, è studiosa di Alchimia Trasmutativa, psicologia quantistica, tecniche a mediazione corporea. La passione per l’arte e la scrittura si integrano nel suo approccio olistico alla comprensione della Psiche.